Si conferma nel mese di marzo l’alto livello artistico della rassegna “Il Suono di Liszt a Villa d’Este”

Si conferma nel mese di marzo l’alto livello artistico
della rassegna “Il Suono di Liszt a Villa d’Este”

Una conferma forse scontata, ma comunque sempre da rimarcare, è quella del notevole valore espresso nella programmazione di questa rassegna concertistica, nata ormai 14 anni fa nella celebre Villa di Tivoli per il bicentenario della nascita di Liszt, come tiene sempre a precisare il presentatore nonché curatore dei concerti matinée Giancarlo Tammaro, e che per questo si è voluto mantenerla con il nome originario, pur avendo cambiato sede più volte, ma sempre nell’ambito della provincia di Roma. La rassegna, organizzata dall’Associazione Colle Ionci – fondatore e presidente Valeriano Bottini – con il contributo quest’anno della Regione Lazio, ha proposto nel solo mese di marzo 2025 ben quattro concerti: tre matinée nell’Auditorium “Romina Trenta” della Casa delle Culture e della Musica di Velletri e uno pomeridiano nella Sala delle Armi del Palazzo Sforza-Cesarini di Genzano.

La mattina del 2 Marzo, domenica di Carnevale, si esibiva all’Auditorium di Velletri un duo pianistico di levatura internazionale, composto da Irene Veneziano ed Eliana Grasso, che per di più utilizzavano assieme al tradizionale pianoforte antico Erard del 1879, protagonista della rassegna, un pianoforte moderno Pleyel del 1998: una combinazione di strumenti eccezionale, sia per l’inusualità dell’abbinamento che per la magnifica resa sonora di amplissima varietà timbrica. Il concerto “Il Carnevale di Carnevale”, titolo quanto mai adeguato a quella domenica carnevalesca, prevedeva il “classico” Carnevale degli animali di Saint-Saëns, nella versione per 2 soli pianoforti, seguito dai Tre pezzi in forma di pera, titolo enigmatico del notoriamente buontempone e sarcastico Erik Satie, eseguito a 4 mani sul pianoforte antico. Nella seconda parte, un omaggio a Ravel per i 150 anni dalla nascita era Ma mère l’oye, ancora a 4 mani ma sul Pleyel moderno, mentre di nuovo a 2 pianoforti era Scaramouche di Darius Milhaud, che concludeva il programma con il grande brio e la vitalità espressi nel suo ultimo movimento Brasileira, brano che richiamava ancora il Carnevale, questa volta quello di Rio. Le due interpreti hanno entusiasmato il pubblico, passando con disinvoltura, bravura ed energia da una tastiera all’altra, dal pianoforte antico a quello moderno e viceversa, riscuotendo prolungati applausi ai quali alla fine, esaurito il programma ufficiale, hanno risposto concedendo un fuori programma degno dell’occasione: una scatenata Danza delle spade di Aram Khachaturian che ha nuovamente acceso l’entusiasmo del pubblico e concluso quindi degnamente e in modo particolarmente brillante questo concerto dedicato al Carnevale.

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Eliana Grasso e Irene Veneziano

La mattina del 16 Marzo era la volta del giovane pianista, e anche compositore, Jacopo Petrucci, il quale proponeva un programma tutto dedicato a Prokofiev ma con nel mezzo un omaggio a Gabriel Fauré – come spiega l’elegante e dettagliata brochure relativa a questi concerti matinée – per concludere il centenario della sua scomparsa, celebrato qui con particolare attenzione poiché Fauré era proprietario di un coda Erard uguale a quello di questa rassegna concertistica. Il giovane Petrucci, con composta sicurezza, interpretava efficacemente alla tastiera dell’Erard d’epoca i brani di Fauré: il corposo Tema e variazioni op. 73 e poi il Preludio e la giustamente celebre e bellissima Siciliana dalle musiche di scena per Pelléas et Mélisande. Fin qui nulla di sorprendente, essendo stato l’Erard anche il pianoforte di Fauré: il motivo di maggior interesse era scoprire la resa del pianoforte antico nei brani del più moderno Sergej Prokofiev, del quale si voleva far conoscere al pubblico un tratto meno noto della sua personalità artistica con i giovanili e poco conosciuti Racconti della nonna e la splendida Suite pianistica dal balletto Romeo e Giulietta, piena di momenti suggestivi, ora d’ambiente, ora maestosi, ma anche lirici e appassionati, come il commovente addio di Romeo e Giulietta che chiude la suite. L’interprete riusciva a far risaltare le pregevoli caratteristiche timbriche dello strumento d’epoca anche nei brani di Prokofiev, mostrandone egli stesso una notevole soddisfazione pure nella virtuosistica e scatenata Toccata che chiudeva la scaletta nello stile percussivo e futurista che di solito si associa a questo autore. Ai convinti e calorosi applausi che salutavano la fine del concerto il pianista bissava Montecchi e Capuleti, il pezzo sicuramente più celebre e citato della Suite dal balletto e nel quale l’Erard ha mostrato di rendere particolarmente bene la trascrizione dall’originale per orchestra.

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Jacopo Petrucci

Nel pomeriggio-sera dello stesso 16 Marzo, a Genzano nel palazzo Sforza.Cesarini, era la volta di un concerto per tiorba: strumento simile al liuto ma dotato di un manico supplementare più lungo, che monta diverse corde aggiuntive che però suonano solo note fisse, non essendoci i tasti come avviene invece per le corde montate sul manico corto principale. Così spiegava nell’introduzione il presentatore, per rendere edotti gli spettatori che non avessero familiarità con gli strumenti antichi del periodo rinascimentale. Protagonista era la bravissima liutista russa Marina Belova, la quale da diversi anni frequenta l’ambiente musicale italiano, e che per l’occasione proponeva un programma decisamente vario: musiche originali per tiorba dal tardo ‘500 a metà ‘600 italiane, trascrizioni dal violoncello e dalla viola da gamba di autori tedeschi di fine ‘600 primo ‘700 (tra i quali J.S.Bach) e una parte finale con musiche francesi tra ‘600 e metà ‘700, sia originali che in trascrizioni dalla viola da gamba e dal clavicembalo. Tra gli autori italiani spiccavano il veneziano Girolamo Kapsperger, di madre veneziana e padre austriaco ma che visse lungamente a Roma, alla corte di papa Urbano VIII Barberini, e Alessandro Piccinini, di ambiente bolognese, ritenuto tra l’altro l’inventore stesso della tiorba; tra i francesi il liutista Robert de Visée e il clavicembalista François Couperin. Al termine di un concerto così vario ed articolato, gli applausi di un pubblico particolarmente interessato richiedevano un bis, concesso dalla Belova ripetendo la bellissima Toccata arpeggiata di Kapsperger, sicuramente il brano più famoso di questo autore e di per sé uno dei più affascinanti dell’intero programma.

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Marina Belova

Ultimo concerto per il mese di Marzo, la domenica 30 mattina, di nuovo nell’Auditorium “Romina Trenta” di Velletri, con un formidabile pianista italiano, Scipione Sangiovanni, decisamente eclettico nel repertorio e nello stile, che proponeva un mix delle Quattro Stagioni di Vivaldi con le Cuatro Estaciones Porteñas (Quattro Stagioni di Buenos Aires) di Piazzolla. Una particolarità del concerto era che tutti i brani, nati per organici strumentali diversi – orchestra d’archi per Vivaldi e quintetto con bandoneon e altri strumenti per Piazzolla – venivano presentati nelle trasposizioni puramente pianistiche fatte dallo stesso interprete, il quale per l’occasione usava però l’Erard del 1879, diverso dal pianoforte moderno su cui egli stesso le aveva concepite. L’esecuzione era articolata in quattro blocchi, ognuno con le due stagioni omonime: Primavera di Vivaldi con Primavera di Piazzolla poi Estate con Estate e così via fino all’Inverno. Come spiegato nella brochure della rassegna, il titolo del concerto “Le otto stagioni: di qua e di là dell’Oceano, dei Tropici… e del tempo” si riferiva al fatto che in ognuno dei quattro periodi dell’anno ci sono due stagioni opposte, Primavera al nord e Autunno nell’emisfero sud e così via, quindi le stagioni nell’anno sono veramente otto e non solo quattro; ma poi in ogni blocco esecutivo si passava da una parte all’altra del Globo e con un salto di 2 secoli e mezzo per gli autori e di 6 mesi tra le stagioni stesse, in quanto le medesime stagioni in Italia e in Argentina si presentano nei periodi opposti dell’anno. Le interpretazioni di Scipione Sangiovanni hanno riscosso applausi calorosissimi, soprattutto l’ultima coppia degli Inverni, ritenuti unanimemente i più belli delle rispettive raccolte. Prima di passare al richiesto bis, l’interprete sottolineava di aver apprezzato molto l’esperienza di suonare per la prima volta tali brani su questo Erard d’epoca, il quale gli aveva donato sensazioni veramente interessanti, ed ha annunciato di voler proporre come fuori programma un ulteriore esperimento, con una sua elaborazione in stile jazzistico del brano iniziale dei “Carmina Burana” di Carl Orff “O Fortuna…”. La resa è stata ugualmente fantastica ed ha ulteriormente entusiasmato il pubblico, suggellando alla grande questo concerto ed anche una programmazione mensile veramente speciale.

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by Nick da Rocca

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